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Nel presentare la raccolta di
fotografie “La lunga posa” di Guido Guidi (Alinari 2006), Italo
Zannier riporta il seguente passo tratto da “Mezzetinte” di
Ernesto Ascione, edito nel lontano 1957.
“La fotografia
di umili cose può avere bene una intenzione simbolica ...
Sono solo subordinate alla luce che meravigliosamente
avvolgendole, colpisce il nostro sentimento per esaltare ... la
bellezza e la verità del contenuto”.
Queste ‘umili
cose’, già presenti nella mia memoria, ho cercato, trovato e
fissato sulla carta fotografica come esternazione della mia
visione del mondo. Immagini essenziali di luoghi apparentemente
banali, dimenticati e poco adatti - per la loro discrezione - a
risvegliare la nostra capacità di ‘lettura’ sclerotizzata dagli
stereotipi, vistosi e volgari, che i media impongono
quotidianamente.
Il colore ridotto all’essenziale, contribuisce a conferire alle
fotografie un equilibrio formale capace di evidenziare le
valenze astratte insite nella realtà.
“Quanto meno «speciale» sarà il soggetto, quanto più esiguo,
tanto più significativo e profondo sarà l’atto stesso del
fotografare”, scrive Roberta Valtorta in “Pagine di
fotografia italiana 1900-1998” (Charta 1998).
Credo fermamente che queste porzioni di paesaggio acquistino una
valenza e un senso, proprio nel momento in cui diventano
fotografie. Il dittico mira a estendere l’inquadratura per
suggerire visioni/interpretazioni più introspettive.
Fabrizio
Magris
SOPRALUOGHI
di Alessandra Santin
Prendendo spunto dalla configurazione culturale del luogo
(naturale e antropica) Fabrizio Magris si sofferma su superfici
all’apparenza inerti ma invece attraversate da linee di forza
che egli riconosce e rivela.
Cementi e intonaci, muri di sasso tondo, asfalti grigi,… e
portali, finestre, cancelli entrano in rapporto tra loro e
suggeriscono eventi e relazioni. Passaggi e mutazioni. Confini.
Tutte le opere di Fabrizio Magris, i dittici e le foto in serie,
sono dei (pre)testi comunicativi sull’esistenza, e sul rapporto
del genere umano con l’indecifrabilità dei concetti come spazio,
tempo, realtà.
Magris presta attenzione proprio al nucleo concettuale del Tempo
umano e ne sottolinea alcune specificità problematiche: la
percezione e la conservazione della realtà, il problema della
caducità del tutto, il tema della fragilità della natura, il
processo di trasformazione degli eventi operato dalla memoria e
dalla storia.
Nei suoi paesaggi urbani l’elemento umano, sempre assente, viene
evocato in apparizioni fantasmatiche attraverso resti e rifiuti
abbandonati, attrezzi da lavoro scelti per la composizione
estetica e non per la loro utilità reale.
Anche le erbe o le foglie, le piante selvatiche e i frammenti
del bosco, sono ritratti come soggetti vivi che affiorano oltre
i muri di confine, lungo selciati stradali, dietro pareti troppo
vicine all’obiettivo, per essere inquadrate interamente. Lo
scopo dell’artista è guidare lo sguardo in una sorta di percorso
visuale non convenzionale e non emozionale, sensibile al
godimento estetico strutturato dal pensiero, quindi ad una
lettura di tipo concettuale/cognitivo.
La sintesi tra tutti questi elementi caratterizza la poetica
dell’artista per qualità e profondità. L’opera fotografica di
Fabrizio Magris possiede una sua cifra stilistica data proprio
dalla complessità dell’inquadratura, che però gli permette di
giungere ad una rappresentazione semplice ed essenziale,
raffinata per l’equilibrio strutturale di forme, linee e colori.
La mostra Sopraluoghi
può essere fruita nella tranquillità della meditazione e della
riflessione individuale, soprattutto per la presenza del video
d’autore, terreno di confine tra le arti, territorio per certi
versi più sensibile di altri ai problemi del nostro tempo.
Architetture industriali e paesaggi urbani nel limitare delle
campagne friulane contengono rappresentazioni della vita passata
dell’uomo, evocata, questa volta sì, da ottocentesche
foto-ritratto di persone sconosciute. Tutto però induce al
presente, a pensare ad ora e ad allora, alla lacerazione
dell’esistenza di fronte alle esigenze della verità in cui ogni
misurazione, economia, argomentazione non ha più senso, ma
conserva potenzialità estetico/narrative di profondo interesse,
di silenzioso opaco splendore.
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