La rassegna dell'opera fotografica di Fabrizio Magris
propone opere eseguite a partire dagli anni '96-'97. In quel periodo avvengono nella ricerca del nostro fotografo alcuni passaggi fondamentali: egli lascia alle spalle l'esperienza della fotografia-documento nata sugli echi del Neorealismo,
abbandona il bianconero per il colore e rivolge la sua attenzione alla semplificazione delle forme. Questa contemporaneità dell'ingresso del colore e del processo di decantazione del racconto (ormai è scomparsa anche la figura umana) mi sembra importante in quanto favorisce la nascita di una sorta di complementarietà: la forma che tende all'essenziale si accompagna ad un colore morbido, dai passaggi sottili, che vive una vita quasi autonoma rispetto agli stimoli provenienti dalla natura o comunque esterni.
Bisogna sottolineare che, nel suo processo operativo, Magris cura il colore seguendo passo a passo lo stampatore e studiando modifiche e correzioni finchè il risultato non è quello da lui atteso. Anche a questo aspetto della ricerca visiva di Magris dobbiamo particolare riguardo: pensiamo infatti a Kepes che, nel suo studio sul linguaggio della visione, considera il vedere un processo creativo del soggetto. Ed io credo che in questo "vedere", anzi, in questo "saper vedere", si celi un'importante chiave di lettura della poetica del nostro fotografo.
Vien da pensare che Magris abbia bisogno di non pochi silenzi esterni ed interni e di spazi di solitudine per cogliere la suggestione di un muro scrostato, per "sentire" il grigio di un intonaco macchiato di giallo come un'astrazione (sarei portata a dire che l'astrazione è presente nei recessi più profondi di tutto l'immaginario figurativo di Magris). Cito volentieri a questo proposito l'opera: "San Leonardo".

Magris sa esercitare anche una sorta di segreta alchimia quando usa i mezzi del mestiere per trasformare un intonaco o la trama di una tenda in una preziosa texture a tutto campo
(San Quirino, Ostuni) o per evidenziare il valore figurativo di un banale adesivo incollato da mani inesperte su un muro qualunque, e poi stracciato con noncuranza (Altamura).


In opere come queste direi che Magris guida
l'immagine con estrema eleganza e con celata ma efficace forza di personalità per rendere protagonista un quotidiano banale evidenziandone valenze estetiche e richiami emotivi.

In un'altra opera ambientata ad Ostuni, il sottile gioco di superfici rese con passaggi di colore tanto leggeri da sfiorare il monocromo ci può far pensare alla pittura; ma qualche cosa interviene a riscattare il fotografo: un sottile tubicino, forse un cavo elettrico lasciato a vista, ci scuote dalla contemplazione dell'ipotetico dipinto e ci richiama alla realtà.
Mi piace a questo punto fare un passo indietro e riferirmi all'opera "Vajont", immagine scattata ancora negli anni del bianconero, ma ricca di spunti emblematici per lo sviluppo futuro dell'espressività di Magris. L'immagine ci propone un'essenziale geometria di superfici e di linee rette riprese dalle nude pareti di cemento dei nuovi edifici, dove una piccola finestra scandisce un equilibrio compositivo pressochè perfetto nell'assoluta assenza del racconto e della terza dimensione.
Il titolo potrebbe farci pensare alla rievocazione del tragico evento, invece Magris tocca con sguardo disincantato una ricostruzione che necessariamente non può ricreare luoghi caldi e familiari. Ne deriva la trasmissione di stati d'animo mediata da un linguaggio essenziale e quasi ermetico.
La lettura di quest'opera così significativa suggerisce di prendere in considerazione un altro aspetto dell'arte di Magris: la mancata preoccupazione nei confronti della terza dimensione. Là, dove i muri degli edifici disegnano ortogonalmente i percorsi orizzontali delle vie urbane, interviene qualche cosa (forse un opportuno spostamento dell'obiettivo o qualche altro accorgimento operativo) per cui le distanze e le convergenze si annullano: alla rappre-sentazione di uno spazio prospettico vissuto all'esterno si sostituisce l'espressione di uno spazio poetico vissuto interiormente. Il colore si adegua a questo impianto formale
ignorando il chiaroscuro e riducendosi a superficie pura.

Questo particolare modo di "sentire" lo spazio percorre come un filo conduttore tutta la produzione di Magris e diviene particolarmente significativo nell'opera
"Montereale Valcellina".
Quando la fusione armonica della forma con il colore dà origine a queste geometrie rarefatte, si toccano, a mio avviso, i momenti più significativi di tutta la produzione ed interviene il bisogno di riandare alle parole del mistico Rumi: "se la forma scompare la sua radice è eterna".
Giovanna De Piero
|